mercoledì 20 giugno 2012

TERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE di TERZA GENERAZIONE - COSA E' L'ACT

L’Acceptance and Commitment Therapy, o ACT (“ACT” si pronuncia come singola parola, non come lettere separate) è una nuova forma di psicoterapia, con solide basi scientifiche, e fa parte di quella che viene definita la “terza onda” della terapia cognitivo comportamentale (Hayes, 2004). L’ACT è basata sulla Relational Frame Theory (RFT): un programma di ricerca di base sulle modalità di funzionamento della mente umana (Hayes, Barnes-Holmes, e Roche, 2001). Questa ricerca suggerisce che molti degli strumenti che le persone utilizzano per risolvere i problemi, conducono in una trappola che crea sofferenza.


L’ACT prende in considerazione alcuni concetti non convenzionali:

• La sofferenza psicologica è normale, è importante ed accompagna ogni persona.

• Non è possibile sbarazzarsi volontariamente della propria sofferenza psicologica, anche se si possono prendere provvedimenti per evitare d’incrementarla artificialmente.

• Il dolore e la sofferenza sono due differenti stati dell’essere.

• Non bisogna identificarsi con la propria sofferenza.

• Si può vivere un’esistenza dettata dai propri valori, iniziando da ora, ma per farlo si dovrà imparare come uscire della propria mente ed entrare nella propria vita.

In definitiva, ciò che viene richiesto dall’ACT, è un fondamentale cambiamento di prospettiva: uno spostamento nel modo in cui viene considerata la propria esperienza personale.

I metodi di cui si avvale forniscono nuove modalità per affrontare le difficoltà di natura psicologica e cercano di cambiare l’essenza dei problemi psicologici e l’impatto che essi hanno sulla vita.

L’Acceptance and Commitment Therapy si basa su tre punti fondamentali:

Mindfulness: è un modo di osservare la propria esperienza che, per secoli, è stato praticato in oriente attraverso varie forme di meditazione. Recenti ricerche nella psicologia occidentale, hanno provato che praticare la mindfulness può avere benefici psicologici importanti (Hayes, Follette, & Linehan, 2004). Attraverso tali tecniche si impara a guardare al proprio dolore, piuttosto che vedere il mondo attraverso di esso; si può comprendere che ci sono molte altre cose da fare nel momento presente, oltre a cercare di regolare i propri contenuti psicologici.

Accettazione: si basa sulla nozione che, di norma, tentando di sbarazzarsi del proprio dolore si arriva solamente ad amplificarlo, intrappolandosi ancora di più in esso e trasformando l’esperienza in qualcosa di traumatico. L’ACT opera una chiara distinzione tra dolore e sofferenza. Per la natura del linguaggio umano, quando ci si trova di fronte ad un problema, la tendenza generale è di capire come attaccarlo.
Capire come liberarci dagli eventi indesiderati (come predatori, freddo, inondazioni) è sempre stato un fattore essenziale per la sopravvivenza della razza umana; tuttavia il tentativo di usare questa stessa organizzazione mentale dinanzi alle proprie esperienze interne non funziona. Quando ci si imbatte in un evento interno doloroso infatti, si tende a fare ciò che si fa solitamente: organizzarlo e risolverlo per sbarazzarsene. In realtà però le esperienze interne non sono uguali agli eventi esterni e i metodi per cercare di eliminarle non funzionano. Deve essere chiaro che l’accettazione, come viene intesa in questo contesto, non è un atteggiamento nichilistico auto-distruttivo ; né un tollerare il proprio dolore, o il sopportarlo, ma è un vitale e consapevole contatto con la propria esperienza.

Impegno e vita basata sui valori: quando si è coinvolti nella lotta contro i problemi psicologici spesso si mette la vita in attesa, credendo che il proprio dolore debba diminuire, prima di iniziare nuovamente a vivere. L’ACT invita a uscire dalla propria mente ed entrare nella propria vita intraprendendo azioni impegnate in direzione di quelli che sono i propri valori.



fonte: act.italia.org

giovedì 15 dicembre 2011

Autostima e Amore

L’autostima è quel sentimento per cui una persona, rivolgendosi a se stessa, pensa in generale positivamente o negativamente; include anche la parola “sicurezza”, la sicurezza nelle proprie capacità mentali e/o fisiche, nell’essere ben accettato o addirittura ammirato dagli altri. (S. Crosera, 2000).

Come si caratterizza l’autostima ?

L’autostima si può distinguere in alta e bassa autostima, in autostima realistica o irrealistica, autentica e inautentica, stabile e instabile, globale e specifica. ( M. Miceli, 1998) L’alta e bassa autostima sono in rapporto con le nostre valutazioni e le nostre aspirazioni. Per sapere se una persona ha un’alta o una bassa autostima bisogna sapere “cosa pensa di sé” e “come vorrebbe essere”. Occorre osservare che discrepanza c’è tra le sue autovalutazioni di fatto e quelle desiderate. Se la discrepanza è grande, l’autostima sarà bassa; se la discrepanza è piccola, l’autostima sarà alta, perché la persona pensa di corrispondere ai suoi desideri, alle sue aspettative e ambizioni. La persona che ha un’autostima alta prima di intraprendere ogni attività, risolvere un problema, affrontare una prova, appare in genere sicura di sé, convinta di avere buone probabilità di successo. E’ questa fiducia in se stessa che le dà la spinta, l’incoraggiamento: è una scommessa proprio su se stessa. Senza questa scommessa avrebbe un atteggiamento fin troppo cauto e conservatore, che non le farebbe osare strade nuove. Ha spesso alle spalle una storia di precedenti successi, che alimentano le sue rosee aspettative. Se in passato è incappata in qualche delusione rispetto a compiti simili, tende a pensare che “stavolta andrà bene”. Le situazioni e le prove difficili le risultano stimolanti, sono una sfida da raccogliere, per dimostrare a se stessa e agli altri che è in bamba, in una parola vuole eccellere. La persona che ha una bassa autostima, invece, prima di ogni prova si sente ansiosa e preoccupata, vorrebbe darsela a gambe ed essere lasciata in pace. Ha molti dubbi sull’esito dei suoi sforzi e l’esperienza passata non le suggerisce prognostici favorevoli; si raffigura anche il momento in cui dovrà fare i conti con l’ennesimo fallimento. Entra in panico anche quando c’è un iniziale risultato positivo, tende ad evitare e così facendo si sottrae anche alle possibilità di successo. Non vede le prove come stimolanti sfide, ma come minacce per la sua autostima, occasioni in cui rischia di dimostrare di non essere abbastanza capace, interessante, intelligente. Pensa che basta cavarsela, l’atteggiamento è quello sulla difensiva, non quello all’attacco. Mentre di fronte al successo la persona che ha un’alta autostima è soddisfatta, perché vede confermate le sue aspettative; quella che ha una bassa autostima non è contenta, il successo la coglie di sorpresa , la rende confusa e timorosa.Tuttavia l’autostima non è sempre stabile, costante nel tempo, può subire anche delle variazioni, delle oscillazioni periodiche o quotidiane, che dipendono da fattori contemporanei o storici. Un’autostima instabile da “fattori contemporanei” varia di volta in volta in base alle situazioni, agli specifici successi o fallimenti e alle specifiche autovalutazioni che la persona si dà. Ogni successo o apprezzamento positivo, e viceversa ogni fallimento o apprezzamento negativo, vengono automaticamente interpretati come segni del proprio valore, conseguentemente l’autostima si innalza o si abbassa, seguendo le oscillazioni del momento. Gli inevitabili alti e bassi della vita di tutti i giorni sono automaticamente ritradotti in alti e bassi della loro autostima. I “fattori storici” che influenzano l’autostima, invece, comprendono il comportamento valutativo di genitori, insegnanti e altre figure significative. Questi possono avere importanti ripercussioni sull’autostima del bambino e influenzare anche molte sue caratteristiche in età adulta. Un’autostima instabile da “fattori storici” sembra dipendere dall’arbitrarietà e mutevolezza delle valutazioni altrui, a cui siamo esposti nell’infanzia. Se l’adulto esprime giudizi arbitrari, inattendibili, contraddittori, motivati dall’umore del momento, il bambino arriverà a convincersi di non avere controllo sulle valutazioni che riceve, cioè di non essere in grado di favorire certe valutazioni o di impedirne altre.

Concludendo l’autostima si caratterizza anche in base ad altre dimensioni che sono la sua globalità o specificità, autenticità o inautenticità e il suo essere realistica o irrealistica. L’autostima globale è indicatore ricorrente e attendibile del benessere psicologico dell’individuo; l’autostima specifica permette di prevedere il comportamento in attività intellettuali, sociali, affettive, ecc., ovvero il successo o il fallimento. L’autostima realistica è aderente ai fatti, mentre l’autostima irrealistica è lontana dalla realtà (può talvolta darci intraprendenza e tenacia, qualità molto utili per progredire, apprendendo nuove strategie e acquisendo nuove competenze). L’autostima autentica è quella composta da autovalutazioni che la persona crede corrispondenti a verità, per cui un’alta autostima inautentica maschera una bassa autostima. Un’autostima alta, sufficientemente realistica, autentica, stabile e globale è segno di benessere psicologico ben più di un’autostima bassa, irrealistica, in autentica, ecc. ( M. Miceli, 1998)

L’autostima si può migliorare?

L’autostima si può migliorare essendo connessa con l’autovalutazione, con il conoscersi o piacersi. Per migliorare l’autostima occorre modificare il sistema di credenze, di convinzioni, di aspettative su se stessi, le prospettive o punti di vista dell’autovalutazione e del giudizio di sé. Solo così si può cambiare il senso del proprio valore. Le terapie cognitive e i training di terapia cognitiva specifici per migliorare l’autostima sono risultati piuttosto efficaci, perché aiutano ad assumere un atteggiamento critico rispetto alle proprie convinzioni, cercando di metterle in discussione.

Le precondizioni per la Terapia di coppia.

I problemi di coppia iniziano quando dall’innamoramento (se c’è stato) si passa alla “fase di transizione”. In questa fase l’eccitamento di conoscere a fondo la nuova persona e la passione dei rapporti sessuali diminuiscono o svaniscono (dopo alcuni mesi o alcuni anni), mentre i sentimenti divengono basati su una valutazione più realistica del partner. Si iniziano a percepire i difetti dell’altro, i due partner non si sentono più corrisposti nel soddisfacimento dei loro desideri e bisogni, iniziano ad affiorare le differenze. Tutto questo coglie emotivamente impreparata la coppia, che inizia ad interrogarsi sull’opportunità di continuare una relazione sempre più deludente.

I conflitti iniziano ad emergere perchè ciascuno cerca di forzare l’altro a corrispondere maggiormente ai propri desideri e ne mette alla prova l’amore. Sono motivi di conflitto il disaccordo sui valori personali, le dinamiche di potere, i problemi organizzativi e di comunicazione (Lo Iacono, 1999). I valori più sentiti sono le manifestazioni di amore e di stima, il sesso, i figli, il denaro, i beni materiali, i rapporti con le persone esterne alla coppia, la suddivisione degli oneri legati alla conduzione familiare.

Queste crisi, quando hanno un esito sfavorevole, possono portare al disamore e alla rottura del rapporto, oppure alla continuazione in condizioni di continuo conflitto e malessere psicologico. Molte coppie si separano perché entrambi i partner si sentono molto delusi l’uno dell’altra, perché i litigi e la critica reciproca sono aumentati, perché scoprono difetti e caratteristiche del proprio partner di cui non si erano accorti prima e che non sembrano possibili da tollerare. La disillusione è molto forte e il rapporto talmente stressante che l’unica soluzione diventa la separazione. Un frequente fattore di insoddisfazione nelle coppia sembra essere lo stress individuale, che riduce le risorse necessarie a contribuire ai compiti familiari, a fornire al partner quel sostegno pratico e psicologico che si aspetta. Quando una persona è sotto stress è meno disponibile ad ascoltare e negoziare, ha più necessità di aiuto e meno disponibilità ad offrirne, fatica a contrattare il soddisfacimento delle proprie esigenze e la rinuncia al soddisfacimento dei propri desideri e bisogni (o la sua posticipazione) diventa un’ulteriore fonte di stress. Inoltre allo stress si accompagna un maggiore livello di emotività, che in termini cognitivi può essere descritto come attivazione di idee irrazionali, distorsioni cognitive, modelli disfunzionali di elaborazione delle informazioni, con il rischio di un aumento di tensioni, conflitti e insoddisfazioni nella coppia e nella famiglia. (Lo Iacono, 2004)

Quando le coppie raggiungono il loro “punto di non ritorno”, quando i loro sentimenti si sono spenti definitivamente o non ci sono mai stati, quando entrambi o uno dei due non è motivato ad un tentativo di ricostruzione della loro relazione, non esiste terapia di coppia in grado di far rinascere passione e sentimenti di amore. Infatti devono esistere due importanti precondizioni per la terapia di coppia, che sono: – l’esistenza nella storia passata della coppia di un periodo di soddisfazione reciproca; – la volontà di entrambi di far durare la relazione (Soresi e Sanavio, 1978).

Se esistono queste due precondizioni la terapia è possibile (altrimenti si aiuta la coppia a separarsi) e con l’approccio cognitivo-comportamentale di coppia _ che è molto direttivo, soprattutto nelle fasi iniziali della terapia, una peculiarità molto utile perché si placano, si evitano i litigi nelle coppie _ si vanno a modificare le idee irrazionali, i modelli disfunzionali di elaborazione delle informazioni (bias interpretativi), il grado di priorità dei valori e degli scopi personali, le convinzioni individuali (nonché le aspettative e desideri che ne derivano) e gli errori di pensiero ( le distorsioni cognitive di Beck come l’esagerazione, la generalizzazione, le spiegazioni prevenute, le etichette negative,, ecc.) dei partner. Si modificano le emozioni o stati d’animo negativi (delusione, rabbia/ostilità, disprezzo, disgusto, ecc.), al fine di raggiungere un maggior grado di soddisfazione nei confronti del partner, attraverso: – una diversa percezione del partner, _ un cambiamento del comportamento personale nei confronti del partner,_ un cambiamento del comportamento da parte del partner o, più spesso, _ un misto di tutte e tre le cose. ( Lo Iacono, 2004)

Gli obiettivi della terapia cognitivo-comportamenale di coppia possono essere sintetizzati in alcuni punti: _ aiutare i singoli partner ad accettare l’altro e le caratteristiche uniche della loro relazione (ciò comporta un lavoro di apprendimento e sviluppo a livello individuale), _ aumentare la consapevolezza delle dinamiche di interazioni ricorrenti nella coppia e dei loro effetti per la soddisfazione reciproca, _ aumentare la disposizione e la capacità a valorizzarsi, sostenersi e gratificarsi vicendevolmente, _ migliorare le capacità comunicative e la gestione dei conflitti.

L’approccio cognitivo-comportamentale si fonda sul presupposto che alla base dei matrimoni riusciti ci sia una reciprocità di gratificazione (rinforzo), ciascun partner dovrebbe rinforzare i comportamenti rinforzanti del partner, seguendo il principio del “dare per avere” (EmmelKamp, 1986), per un’unione felice sono essenziali certe doti di impegno, sensibilità, generosità, considerazione, sollecitudine, lealtà, senso di responsabilità, fidatezza , poi bisogna imparare, scendere a compromessi, agire in base a decisioni prese in comune, avere una certa duttilità, una buona predisposizione ad accettarsi e a perdonarsi, a tollerare difetti, errori e bizzarrie (Beck, 1990).

mercoledì 9 febbraio 2011

TERAPIA DI COPPIA. TRATTAMENTO

La Terapia cognitivo-comportamentale nasce come intervento a breve termine, come processo attivo e direttivo di educazione della coppia su specifici aspetti che possono contribuire alla disfunzione relazionale.
Il terapeuta affiancherà la coppia nel proprio processo di cambiamento.
Come primo passo, il terapeuta costruirà un rapporto positivo con i membri della coppia e “imparerà la loro danza” attraverso un colloquio congiunto, a cui seguiranno uno o due colloqui individuali per comprendere la storia della coppia e della famiglia.
Il terapeuta valuterà gli aspetti:

- cognitivi (ad esempio le percezioni, le aspettative della coppia);
- comportamentali (ad esempio le capacità comunicative, il modo di interagire passato, i punti di forza e le debolezze della coppia);
- emotivi (ad esempio le emozioni positive e quelle negative, come rabbia, depressione, ansia, gelosia) emersi da questa prima fase di analisi.

Quindi:
- identificherà gli schemi o le credenze dei partner rispetto alle relazioni in generale;
- individuerà i pensieri dominanti sulla loro relazione;
- chiarirà il modo in cui tutto ciò influenza i loro comportamenti e le loro emozioni.

Elaborerà infine una proposta di trattamento e si potrà a questo punto iniziare il percorso terapeutico, solo però se la coppia sarà convinta dell’utilità del trattamento per la risoluzione dei propri problemi.

LA TERAPIA DI COPPIA. COME POSSIAMO STARE BENE IN COPPIA?

Nelle favole i personaggi della coppia si incontra, il Principe bacia la Principessa, si sposano e vivono felici e contenti. Nella vita non accade proprio così.
Ecco le doti che sono considerate l’espressione delle speranze e dei sogni più profondi di amore e devozione (Beck, 1988):

- Sensibilità - Lealtà
- Cortesia - Riguardo
- Generosità - Rispetto
- Comprensione - Ragionevolezza
- Responsabilità

Le aspettative verso il proprio partner vengono spesso deluse perché non si ha la consapevolezza che uomini e donne sono diversi e hanno modalità diverse di comunicazione. I problemi nascono quando si vuole imporre la propria diversità all’altro. Un primo importante passo consiste nel prendere coscienza di questa diversità.
Il rapporto di coppia, lo ripetiamo, si fonda sulla ricerca della felicità insieme, non sul potere e sulla ragione. È importante stabilire una comunicazione con il proprio partner non finalizzata a controllarlo o a fargli cambiare idea secondo un proprio principio di ciò che è giusto o sbagliato. L’accettazione dell’unicità del partner è fondamentale.
Per avere una buona relazione di coppia c’è bisogno di:

- momento della separatezza;
- momento del contatto;
- momento della fusione.

mercoledì 19 gennaio 2011

E' POSSIBILE USCIRE DALLA DIPENDENZA AFFETTIVA?

Uscire dalla dipendenza, per quanto difficile e doloroso, non è comunque impossibile. I percorsi terapeutici indicati consistono o nella terapia individuale o nella terapia di coppia.


Nel caso in cui entrambi i membri della coppia avvertano un disagio nella relazione e siano motivati a cercare una soluzione alla propria sofferenza, una terapia di coppia, ovvero un percorso terapeutico che li coinvolga entrambi, può risultare molto valido, oltre che per riflettere sulle premesse a cui si è ispirata la relazione, anche per ricontrattare e negoziare alcune regole fondamentali dello stare insieme o elaborare alcune nuove modalità di rintracciare il proprio benessere personale con o senza l’altro.


Una terapia individuale può aiutare la persona a trovare dei modi più rispettosi e dignitosi di relazionarsi a se stesso e alle figure affettive significative con cui si è instaurata la dipendenza affettiva, al fine soprattutto di evitare di ripetere gli stessi sbagli nelle relazioni in corso o in quelle future.


In entrambe le circostanze, l’aiuto di una terza persona esterna alla dinamica in atto, ovvero il terapeuta, può rivelarsi molto utile soprattutto perché si trova al di fuori di questo circolo vizioso.

SINTOMI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA

Capita a volte che le persone dipendenti affettivamente, in particolare nei casi di co-dipendenza nella coppia, manifestino alcuni sintomi connessi alla loro modalità relazionale disadattava, come per esempio:

- Depressione

- Disturbi dell’alimentazione

- Insonnia

- Abuso di sostanze

- Disturbi d’ansia

- Sintomi riconducibili ad uno stato psicofisico di stress.